L’artista

Paolo Pace nasce a Tolentino il 23 agosto 1914. Dopo aver frequentato le scuole superiori, alla fine degli anni trenta si trasferisce a Roma per approfondire gli studi artistici all’Accademia di Belle Arti, ove segue i corsi di Pittura con le lezioni di Anatomia e la Scuola di Nudo, mentre frequenta anche il corso, di recente istituito a livello nazionale, di Tecniche dell’Incisione (una volta diplomatosi, svolgerà anche funzioni di assistente a Cipriano Efisio Oppo, pittore vicino alla Scuola Romana, Segretario del Sindacato Fascista Belle Arti e Segretario Generale delle prime quattro edizioni della Quadriennale Romana, tra il 1931 e il 1943). E’ in questi anni che il giovane si avvicina alle posizioni del Partito Comunista Italiano, a cui aderirà durante la militanza partigiana.

Si arruola nel giugno del 1940 e viene inviato in Albania con il grado di caporale dei Granatieri. Sofferente per il congelamento del piede destro e per il manifestarsi di disturbi cardiaci, è prima ricoverato a Valona e poi a Foggia; nel giugno del 1941 ottiene il congedo illimitato, anche se a fine novembre viene nuovamente richiamato e destinato al deposito di Viterbo del suo reggimento d’appartenenza, il 3° Granatieri di Sardegna.

Gli impegni militari non  impediscono a Pace di perfezionare la sua esperienza incisoria, tanto che in questi anni incide all’acquaforte un cospicuo numero di lastre  e inizia l’attività espositiva, nel 1942 presentando incisioni alla X Mostra Sindacale Romana (Mimosa) e partecipando l’anno seguente, nella Sezione del Bianco e Nero, alla IV Quadriennale Nazionale d’Arte organizzata al Palazzo delle Esposizioni (vengono esposte le sue acqueforti Paesaggio d’autunno e Paesaggio marchigiano, foglio acquistato per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna).

Dopo l’8 settembre  ritorna nelle Marche. Internato insieme a tanti altri giovani tolentinati nati tra il 1914 e il 1926 nel campo di prigionia tedesco approntato nel vecchio tabacchificio  di Sforzacosta, riesce ad evadere e si unisce alle prime formazioni partigiane; il 12 marzo 1944 sfugge alla fucilazione a Castel di Croce di Rotella, in provincia di Ascoli Piceno, per divenire poi  commissario politico e comandante di una formazione partigiana a Borgiano di Serrapetrona.

La sua attività di impegno civile e politico va precisandosi nei primi anni del dopoguerra: dirige i dodici numeri del periodico dell’ANPI di Macerata, “Risorgimento Marchigiano” (30 settembre 1945 – 12 gennaio 1946) e nello stesso 1946 viene eletto Sindaco di Tolentino, incarico che manterrà per cinque anni, fino al 1951.

Nonostante i pressanti impegni quotidiani che il suo ruolo comporta, Pace non abbandona il suo lavoro artistico e nella primavera del 1948 è ancora presente alla Quadriennale romana, nella prima, importante edizione rinnovata del dopoguerra.

Nel maggio del 1951 si trasferisce a Milano, ove tenta una nuova via professionale: in Viale Cassiodoro, in zona Fiera, apre lo spazio “Calcografia d’Arte”, laboratorio di pittura e grafica nel quale – oltre a realizzare su commissione disegni ed illustrazioni commerciali – lavora soprattutto come stampatore per conto terzi. Il laboratorio funge anche da sede espositiva per la sua nuova produzione grafica ispirata al paesaggio industriale della periferia milanese: nell’aprile del 1953 vi espone infatti sue incisioni recenti – ad esempio, La Fabbrica – accompagnate da alcune riflessioni critiche del  medico-collezionista Giorgio Rubinato, pubblicate in maggio-giugno sul mensile di arti figurative «Realismo».

Nel 1952 compie un viaggio a Parigi, di cui resta traccia visiva in incisioni quali Ile de France-Paris e Jardin des Tuileries.

Sposatosi nel 1953 con Laura Benadduci, appartenente ad una nota famiglia tolentinate, prosegue con determinazione la sua attività professionale ed artistica:  nel 1954 ottiene l’incarico di direttore degli allestimenti alla Fiera di Milano; negli stessi anni partecipa ad una rassegna sull’incisione italiana contemporanea organizzata dalla Calcografia Nazionale in diverse città dell’America latina, Santiago del Cile, Rio de Janeiro, San Paolo; inizia ad organizzare le sue prime mostre personali.

Il 1959 è infatti un anno molto importante per Pace, che vede positivamente riconosciute dalla critica e dal pubblico le sue doti, di incisore soprattutto, ma anche di pittore. Mentre in una mostra ospitata al Museo di Roma, in Palazzo Braschi, viene esposto il suo dipinto La ballerina,  si tengono due sue personali  di rilievo: in primavera espone infatti alla Galleria La Cassapanca, in via del Babbuino, a Roma, mentre a fine anno si presenta alla Cairola di Milano con una nutrita personale tutta di dipinti ad olio (a fronte infatti di 35 tele, vengono esposti soltanto tre incisioni e tre disegni).  La presentazione in catalogo è di Ugo Nebbia, critico milanese buon conoscitore dell’arte italiana tra le due guerre, il quale sottolinea la «natura assorta e pensierosa» dell’autore «che si riflette nei toni pacati, quasi smorzati che predilige […] nell’armoniosa delicatezza di certe sue gamme del tutto in sordina, come per vietarsi qualunque sensuale effetto pittorico».

Colpito da un tumore al viso, a fine 1959 Pace preferisce ritornare a Tolentino, anche per essere vicino a parenti ed amici. Tra marzo e aprile 1960 tiene la sua seconda personale alla Cassapanca («quasi esclusivamente Fiori […] tutti raccolti in vasi dalle trasparenze lattiginose», come annota Enrico Contardi ne «La Voce del Sud» del 2 aprile 1960), mentre in settembre vince il primo premio indetto nell’ambito del “4° Festival delle Novità”, dedicato alle tematiche circensi. La giuria del premio di pittura, composta tra gli altri da Marcello Venturoli e Franco Simongini, gli assegna il riconoscimento per il dipinto Il clown.

Nell’aprile 1961 Pace riesce ancora ad interessarsi di una terza mostra alla Cassapanca di Roma, ove espone una trentina di tele tra Paesaggi, Fiori e Nudi,  prima di ritirarsi per l’aggravarsi della malattia a Tolentino. Qui muore il 23 aprile, a soli 46 anni.

L’artista non viene dimenticato e a due anni dalla sua scomparsa, nel 1963, è ricordato in tre mostre personali a Macerata, in maggio, a Tolentino, in settembre, e a Sesto San Giovanni, in dicembre: nella sala della Brigata “Amici dell’Arte” di Macerata vengono infatti esposte per tutta l’estate 22 sue acqueforti con Fiori e Paesaggi marchigiani e romani; presso il Circolo Cittadino di Tolentino, l’Amministrazione Comunale e l’Azienda di Soggiorno promuovono una sua retrospettiva ricca di dipinti e incisioni; al Centro Culturale “Ricerca” della cittadina alle porte di Milano, vengono infine presentati come vera e propria «scoperta» 11 suoi dipinti e 20 incisioni.

Nel marzo 1964 è la volta del Circolo Culturale La Bovisa, ancora a Milano, a riproporre  olii e incisioni di Paolo Pace così come viene fatto durante l’estate alle Terme di Miradolo,  vicino a Pavia, ma un’occasione di maggior respiro si crea l’anno successivo, nel febbraio-marzo 1965, quando presso la Biblioteca comunale del capoluogo lombardo, in Corso Vittoria, viene allestita una nutrita mostra delle sue acqueforti, introdotta in catalogo da Raffaele De Grada. In agosto, nell’ambito della “V Mostra di Grafica Italiana” promossa dall’Azienda di Soggiorno di Como, assegna all’artista il “Premio Como 1965”.

Ricchissimo di iniziative dedicate a Pace è il 1966: alla “1a Biennale dell’Incisione dei Giovani”, organizzata in maggio-giugno a Tolentino ancora da Comune e Azienda di Soggiorno e alla quale partecipano 114 artisti con 223 opere, viene affiancata una «rievocativa» di Paolo Pace introdotta da un breve, commosso ricordo di Ernesto Treccani, mentre all’artista scomparso viene intitolato anche un Premio speciale, assegnato da una Commissione Giudicatrice formata da  Mario De Micheli, Tito Balestra e Virgilio Guzzi (la seconda edizione del “Premio Paolo Pace” si terrà, sempre a Tolentino, due anni più tardi). In ottobre sono ben tre le personali di acqueforti di Pace allestite in diversi centri del Nord Italia: presso la Galleria Verritrè di Milano, alla Galleria Il Bulino di Ferrara e alla “Seconda Biennale dell’Incisione Italiana” che si tiene a Padova, in Palazzo della Ragione. Qui sono quattro le retrospettive riservate a nomi di prima importanza nel panorama artisto italiano: oltre a Pace infatti gli altri spazi personali sono dedicati a Carlo Carrà, Gino Severini e Luigi Bartolini.

Nel dicembre del 1967 si tiene alla Galleria Galileo di Piombino una nuova retrospettiva di pace, ricca di circa 25 acqueforti, Fiori, Periferie, Paesaggi, di cui i cronisti mettono in luce il «tratto fortemente analitico» e la «cura per il particolare» a volte  persino considerata in termini di «calligrafismo lineare».

Passano cinque anni e finalmente nel 1972, ancora per volontà dell’Azienda di Soggiorno con il concorso dell’Amministrazione Comunale di Tolentino, dal 10 al 24 settembre si tiene nel Salone di San Giacomo la “Mostra antologica commemorativa di Paolo Pace”. Anche nel settembre 1973 sue incisioni verranno esposte nell’ambito della “2a Tolentiniana”, così come presso il Palazzo Comunale di Recanati (26 acqueforti, sopratutto Paesaggi marchigiani e romani), ma l’interesse per l’artista pare nel tempo affievolirsi fino a che due documentate mostre critiche non ne riportano il nome alla ribalta: la prima, promossa dal Comune di Tolentino nel 1996, presenta con una nota critica di Giuseppe Appella “Quattro incisori marchigiani del Novecento. Vitalini, Mainini, Pace, Farabolli”; la seconda, voluta nel 2006 dall’Istituto Nazionale della Grafica e con la cura critica di Alida Moltedo Mapelli, si intitola “Paesaggio urbano. Stampe italiane della prima metà del ‘900 da Boccioni a Vespignani”. Di Paolo Pace  vengono esposte – e pubblicate nel ricco catalogo delle Edizioni Artemide che accompagna la rassegna – sei Periferie milanesi all’acquaforte, tutte attribuite al 1952 circa. Interessanti sono tanto le riflessioni della curatrice sulla Periferie di Pace come «territorio inanimato» (cfr. Antologia critica, p. …), quanto la scheda biografico-documentaria stilata da Alessandro Ruggieri, il quale, riprendendo un’interpretazione dell’opera dell’artista marchigiano consolidatasi nel tempo ma non del tutto convincente, sottolinea ancora una volta il suo «stile calligrafico» ed i suoi «tratti filiformi», mentre più stimolante sembra l’intuizione secondo cui l’artista considera «lo scenario urbano e la struttura meccanica come elemento paesaggistico».

 

Marilena Pasquali

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